Fantasmagoria by Antonio Potenza

Fantasmagoria by Antonio Potenza

autore:Antonio Potenza [Potenza, Antonio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Moscabianca
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Il tempo in situazioni simili è pur sempre relativo. Ancor più a Marina.

Quindi ora che vedo le spalle di mio padre muoversi attraverso ciò che prima era la sua abitazione, mi sento spinto indietro attraverso eoni: seguendo la sua schiena mi pare di sentire ruggire i sauropodi, le loro scaglie brillano oltre la finestra, le stanze profumano di pane, di Lei. Lenzuola umide. Iodio finissimo. Detersivo per pavimenti alla vaniglia. Quanta speranza nel futuro c’era un tempo in questa casa.

«Dov’è?» chiede, e ritorno al presente.

Gli propongo di mettersi comodo. Istintivamente conto gli anni senza di lui. Poi balbetto qualcosa per distrarmi.

Ma insiste nel volerla vedere. Allora, dopo avergli versato un po’ di acqua, gli chiedo di seguirmi. Saliamo le scale attraverso le quali innumerevoli notti mi ha riportato a letto, quando capitava di addormentarmi sulle sue gambe, in salotto. Ci arrampichiamo adesso come due persone diverse: io l’uomo, lui il bambino canuto. Lo porto a vederla, lo accompagno verso il letto, il sonno.

In camera si accorge dei miei post-it.

«Agrafia post-traumatica».

«Ha chiamato anche te», fa lui, riferendosi al mare. Lo guardo a fatica, perché sento gli occhi gonfiarsi come spugne. Avverto le lacrime arenarsi nella parte bassa dell’orbita, ma con uno sforzo titanico cerco di non piangere; non potrei farlo mai di fronte a mio padre che mi fissa con uno sguardo lucido, a metà tra la rassegnazione e la disperazione.

Mi chiedo chi dei due per primo lascerà andare il proprio dispiacere.

Poi si accorge degli altri post-it, quelli completati.

Insieme diciamo: «Lei».

Lo prego di essere paziente, di sedersi a fianco a me per terra, di fronte alla finestra, con una voce non ancora troppo convinta di non poter diventare un pianto. Mi ascolta e si accomoda rannicchiato alla mia destra; sento il suo odore, lo stesso che ho sempre riconosciuto, di colonia e sudore, adesso anche di pelle stanca e arsa e sporca. Mi sfugge l’ultimo ricordo di affetto negli ultimi anni. Da qui, con le gambe al petto come due bambini che attendono un premio, riusciamo a vedere il mare che sbrilluccica e finalmente il crepuscolo, quindi in silenzio la notte. La luna esonda di luce, che si riflette sulla distesa nera. Il fascio percorre Marina, bagna d’azzurro i tetti squadrati delle case, perfora lo spazio del paese fino alla nostra finestra.

Dal davanzale avanzano le sue dita sottili, i suoi polpacci ramificati di vene scure, la sottana bianca, il ventre molliccio, i seni rattrappiti attraverso la stoffa, i capelli folti e stopposi che le coprono lo sterno e il collo, infine le labbra contrite e gli occhi fissi.

Papà si alza di scatto e segue i suoi movimenti, la guarda prendere la solita matita dalla mia scrivania, avvicinarsi al muro e lentamente completare tutte le parole che non riesco a scrivere, proteggendomi ancora una volta dal mio trauma. Un compito semplice, che lei ha sempre saputo eseguire. Le sillabe finiscono, le parole sono pronte, riluccicano nel buio della camera.

Allora, com’è venuta, così se ne va, con quel suo ancheggiare stanco e prostrato. Ha terminato il tempo, l’Oceano la richiama a sé attraverso i metri di aria umida.



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